Anatomia della frustrazione: come la gestiamo?

 

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Quando ci sentiamo davvero nervosi per non essere riusciti ad ottenere ciò che volevamo, quando alcuni nostri bisogni più o meno prioritari non vengono soddisfatti, quando l’impegno profuso in un progetto si traduce in uno scarso risultato: beh, stiamo di sicuro provando frustrazione!

Le cause a monte della frustrazione possono essere tante, tutte hanno a che fare con qualcosa di cui veniamo privati: in alcuni casi riguarda più il dover rinunciare a qualche forma di piacere o di necessità per adattarci a richieste esterne, in altri si entra maggiormente nell’area del valore che ci attribuiamo, dell’”essere all’altezza”, vale a dire che ci possiamo sentirci frustrati quando non aderiamo a qualche ideale di noi stessi verso il quale siamo protesi.

In psicoanalisi classica questo tema, in generale, è stato visto come un aspetto dell’esperienza umana inevitabile ed utile allo sviluppo sano dell’individuo: l’incontro con la realtà è fatto di frustrazione dei nostri bisogni infantili che sono per forza di cose acerbi e poco modulati. Ciò si rivela utile per poter abbandonare il nostro senso di onnipotenza e essere più aderenti alla realtà.

Heinz Kohut, psicoanalista austriaco e fondatore delle Psicologia del Sé ha sottolineato come questo incontro con la realtà debba essere frutto di una buona relazione con i genitore, un morbido impatto con il fatto che non siamo onnipotenti e che certe volte non tutto ciò che desideriamo possiamo ottenerlo immediatamente e nel modo che vogliamo. In questo caso Kohut  parla di “frustrazione ottimale” la quale non è altro che l’inevitabile “non-aderenza” del genitore a tutti i bisogni del bambino.

In ogni caso una concezione per cui “siamo nati per essere frustrati” è un po’ sviante : non è proprio vero che più lo siamo stati e più saremo in grado di accettare le frustrazioni.

Alla base della nostra possibilità di abitare la frustrazione si trova quella di accogliere anche la gratificazione. Non siamo mica un pozzo senza fondo, la gratificazione è ciò che ci ha nutrito e ci ha permesso di essere individui saldi in grado di tollerare che non tutto vada per il verso giusto. Se durante la vita fossimo sempre e soltanto deprivati il risultato sarebbe devastante. Il modo in cui siamo in grado di far nostre entrambe queste dimensioni aumenta il nostro stato di benessere e ci permettere di vivere meglio.

La frustrazione crea rabbia, in alcuni casi vergogna o senso di impotenza. Il modo in cui gestiamo la queste emozioni è ancora una volta legato alle nostre relazioni.

Gestire le emozioni, a volte vulcaniche, con cui ci lascia soli una frustrazione non è sempre semplice. Il modo in cui lo facciamo parla sicuramente di noi e delle nostre relazioni passate, in particolar modo di quelle  con i nostri genitori: attraverso le interazioni con loro ed a meccanismi di etero regolazione affettiva, il genitore ci ha fatto fare l’esperienza di essere calmati nel momento della frustrazione, dal pianto per la fame da neonati sino a quello adolescenziale per non aver ottenuto l’acquisto di una maglietta firmata. 

Acquisiamo  in questo modo quella regolazione emotiva che prima veniva dall’esterno; essa diventa una risorsa interna per gestire le frustrazioni future: abbiamo fatto nostra la capacità di calmarci. Ci diciamo che non fa niente, che avremo altre occasioni…oppure ci facciamo una birra! Sono tutti modi per tollerare di non essere sempre soddisfatti.

In realtà stiamo gratificando il nostro bisogno di essere calmati, così come i nostri genitori hanno fatto durante la nostra infanzia.

Inoltre, attraverso la relazione con i genitori (ma anche con altre figure di riferimento e con gli amici), impariamo qualcosa di importante: abbiamo un limite.

Ciò non significa che valiamo di meno, anzi. Vuol dire che non siamo “sconfinati”, in qualche modo i nostri limiti ci aiutano a definirci anche: ci permettono di percepire dove finiamo noi e inizia l’altro, attraverso le relazioni e le situazioni in cui ci sentiamo limitati conosciamo noi stessi e ci sentiamo individui unici e riconosciuti nella nostra particolarità: quante volte la presa in giro bonaria di un amico molto intimo su un nostro piccolo difetto ci ha scaldato il cuore perché ci ha fatto sentire davvero “conosciuti” nel profondo?

Per l’adolescente potersi scontrare con un genitore di solido, ovvero in grado di reggere il fatto di frustrare suo figlio, è importantissimo per fare l’esperienza rassicurante di non essere senza limiti, di essere protetti dal proprio “strabordare”, imparando a regolare il proprio agire sconfinato o di impulso.

È importante che i bambini e i ragazzi imparino il piacere, non l’essere senza limiti. Sono due cose diverse.

In ogni caso non è affatto semplice fare i conti con la frustrazione: a volte come strategia di autoregolazione possiamo tendere a  procurarci soddisfazioni immediate ma non salutari, ad esempio attraverso un consumo eccessivo o disregolato di cibo, il fumo, alcolici.

Oppure alcune persone tendono ad auto-frustrarsi eccessivamente perché, spesso, sentono di dover aderire ad aspettative rigide che gli sono state poste in famiglia. Oppure ci hanno insegnato da piccoli che i nostri bisogni non “hanno spazio”, non dobbiamo procurare fastidio, dobbiamo essere “leggeri e invisibili”.

Detto ciò, non si tratta di guardare solo al passato ma di comprendere come il passato ci rende ciò che siamo. Il presente è sicuramente ricco di nuove esperienze relazionali ed esistenziali (nuovi amici, un nuovo lavoro, nuovi colleghi, una nuova relazione di coppia, una nuova passione ) che possono completare ed aumentare la qualità del nostro modo di autoregolare le frustrazioni.

Un aspetto importante è che acquisendo la capacità di gestire le frustrazioni, impariamo anche a progettare: non posso ottenere subito ciò che voglio ma dovrò attendere e fare qualcosa affinché ciò possa realizzarsi (progetti scolastici, lavorativi, esistenziali, familiari).

La frustrazione può creare uno spazio per la possibilità; come ha detto Martin Heidegger: “Più in alto della realtà sta la possibilità”.

Il dialogo tra fustrazione e gratificazione può spesso essere intimo e imperscrutabile e senza dubbio ci mette in contatto con l’esigenza di vivere il coraggio nell’affrontare ciò che ci crea dolore e, in definitiva, anche il piacere: accogliere sentimenti grandi significa in ogni caso superare i nostri limiti.

Talvolta è proprio quando stiamo vivendo grosse frustrazioni che possiamo trovare in noi stessi nuovi modi di essere inediti che ci fanno intuire quanto una privazione possa far spazio al nuovo: posso imparare ad essere una persona che progetta, posso provare  la soddisfazione di essere perseverante, posso scoprirmi in grado di ottenere di più dal mio lavoro faticando un po’ di più; se una relazione finisce posso far spazio ad una nuova, posso imparare a differire nel tempo la soddisfazione che cerco nell’immediato.

Come hanno detto i Rolling StonesYou can’t always get what you want, but if you try sometimes you just might find you get what you need”  (traduzione: non puoi sempre avere ciò che vuoi ma se ci provi a volte puoi scoprire che stai ottenendo ciò di cui hai bisogno).

 

 

 

Valentina Desiderio

Photo by Vance Osterhout on Unsplash

 

 

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